Ho acquistato questo libro qualche anno fa, lo trovai per caso nella ormai chiusa Libreria del Sole, la più bella, seppur meno conosciuta libreria esoterica di Milano.
riporto, di seguito gli stralci del libro di Tarocchi da me più amato dopo quello di Omar e Zaira
Su gentile concessione dell’autore aggiungo la presentazione del libro
“La Via del Sacro – i simboli dei Tarocchi fra Oriente e Occidente” costituisce nel mondo il primo saggio di studio e comparazione del Tarocco con apparati simbolici orientali le cui radici si trovano nel culto di Shiva e in quello di Tara.
Il Tarocco, sorto nell’Italia del Nord tra la fine del Trecento e i primi decenni del secolo successivo, costituisce un insieme simbolico unico nel suo genere in tutta la storia dell’Occidente, ed è stato intensamente studiato negli ambienti esoterici a partire dalla fine del Settecento. Ma gli aspetti tuttora ignoti del Tarocco sono molti, a cominciare dalla sua origine.
Inizialmente, il gioco era chiamato col nome italiano di “Trionfi”. Ma agli inizi del Cinquecento, quando gli Arcani erano già conosciuti da almeno un secolo, apparve una nuova denominazione che soppiantò in brevissimo tempo quella precedente: “Tarocco” o “Tarot”, divenuta oggi di uso internazionale. La nuova denominazione presentava fin dal suo sorgere un’etimologia e un significato del tutto sconosciuti; diverse opere cinquecentesche, citate nel testo, s’interrogano vanamente al riguardo, giungendo a risultati del tutto contrastanti.
Per almeno tre secoli i Tarocchi furono usati esclusivamente a scopo ludico. Fu solo a partire dall’età dell’Illuminismo che membri importanti della Massoneria europea, a partire da Court de Gèbelin, ne rivelarono la natura sapienziale e ne approfondirono successivamente lo studio. Da quest’epoca inizia anche la sua sistematica utilizzazione a scopo divinatorio. Tuttavia allo stato attuale delle conoscenze storiche ancora non si conosce con certezza chi e perché ha creato questo enigmatico insieme di raffigurazioni allegoriche, in cui si alternano l’Angelo e il Diavolo, il Mago e l’Eremita, il Papa e la Papessa, l’Innamorato e la Morte. Si ignora altresì il motivo per cui questo insieme ha mutato il proprio nome da “Trionfi” a “Tarocchi”, un secolo dopo la sua apparizione in Occidente; perché sono stati importanti membri della Massoneria a conferire al Tarocco una dignità sapienziale, sottraendolo al gioco cui per secoli era rimasto confinato; e infine perché questo importante apparato simbolico è rimasto tanto a lungo misconosciuto.
Agli interrogativi di carattere storico se ne sovrappone un altro che li compendia tutti in sé: se il Tarocco costituisce una dottrina di carattere filosofico (nel senso più elevato della parola) celata sotto forma di antichi simboli, in che modo si può riscoprirne il significato più profondo, superando le interpretazioni di carattere morale o esoterico, a volte contraddittorie, fiorite a seguito delle speculazioni ottocentesche di Eliphas Lèvi, Jean-Baptiste Pitois, Oswald Wirth e dei loro successori?
La risposta a questi interrogativi potrebbe trovarsi in alcune dottrine sapienziali sorte nel seno dello shivaismo e del buddhismo, sviluppatesi prima del Mille nella zona himalayana, da cui sono sorti nel Kashmir il corpus di 78 aforismi che va sotto la denominazione di Shivasutra, e in Tibet l’insieme simbolico e pittorico conosciuto come Tara Verde e le sue 21 emanazioni . Penetrate nelle terre islamiche, ove avrebbero trovato un ambiente adatto nelle confraternite sufiche (“Tariqà”), avrebbero conosciuto un’ulteriore rielaborazione e sarebbero infine giunte, seguendo il consueto percorso della “migrazione dei simboli”, in Italia. Qui si sarebbero fuse nell’antica tradizione sapienziale occidentale, che si era già espressa nel meraviglioso simbolismo delle cattedrali, ereditato successivamente dalle logge massoniche; e nelle corti italiane del primo Rinascimento avrebbero trovato l’ambiente ideale per venire presentate all’Occidente, celate sotto il velo dell’iconografia.
Lo studio comparato di quegli apparati simbolici orientali e dell’iconografia del Tarocco apre nuovi campi d’indagine finora inesplorati, e consente la comprensione degli Arcani al loro più alto livello, quale rappresentazione simbolica dell’universo interiore.
A scopo di esempio e presentazione, alleghiamo le pagine dedicate all’Arcano ventiduesimo o Zero (il Matto), all’omologo aforisma di Shiva, e alla Tara corrispondente.
Il Matto
0 LA POSSIBILITÀ INFINITA.
La somma delle infinite possibilità
È eternamente pari a zero;
il Tutto si equilibra nel Nulla.
L’ultima lama degli arcani maggiori dei tarocchi è anche la più misteriosa.
Uno strano personaggio, vestito con gli abiti di un giullare del Medioevo, cammina appoggiandosi a un bastone. Il suo sguardo è perso nel vuoto, sulla spalla destra porta un’asta cui è appesa una sacca. L’asta è suddivisa in tre segmenti. Il suo cappello, come quello del Mago, è visibile solo parzialmente poiché la sua estremità superiore si perde oltre il margine della carta. Un animale non ben identificabile, forse un piccolo cane, sembra lacerargli i pantaloni da dietro, scoprendogli gamba e natica. Ma l’atteggiamento dell’animale non è aggressivo, pare stia solo giocando con uno strappo nei pantaloni che forse preesisteva. Come il cappello del Matto anche l’estremità posteriore del cane non è visibile, a dimostrazione che l’Infimo e il Sublime restano entrambi inconoscibili. Le più basse pulsioni animali e la mente suprema escono dall’ambito delle nostre capacità di comprensione: possiamo solo esserne testimoni consapevoli.
Il Matto è l’unica carta che non ha numero, ma solo il nome; al contrario della Morte, che ha il numero ma non il nome. Le si attribuisce tradizionalmente il valore di Zero e può essere posta all’inizio della serie oppure alla fine. Anche il significato che le si attribuisce varia a seconda degli autori.
La maggior parte degli scrittori ottocenteschi vedevano nel Matto il simbolo della follia umana, della disperazione, degli impulsi ciechi che portano l’uomo alla rovina. Oggi invece si tende ad una sua rivalutazione, attribuendogli un significato addirittura opposto: il Folle Divino, cioè l’uomo che, avendo trasceso se stesso ed essendosi ricongiunto alla propria Natura Superiore, non si assoggetta ad alcuna regola o legge, poiché ormai è al di sopra di esse. In Oriente il Folle Divino è ben conosciuto: alcune immagini popolari del “Buddha che ride” lo raffigurano vestito di stracci, con un enorme ventre scoperto e una sacca sulle spalle, proprio come il Matto. L’immagine è visibile nell’opera fondamentale dello Zen “I dieci tori di Kakuan”, costituita da dieci immagini raffiguranti il cammino verso l’autorealizzazione, accompagnati da altrettanti aforismi. Il Buddha che ride compare nell’ultima immagine: la sua analogia col Matto dei tarocchi appare evidente, a riprova che Oriente e Occidente si toccano nelle loro simbologie più elevate.
Il mazzo Rider-Waite, più volte citato, si ispira all’Oriente quando raffigura il Matto come un giovane in abito rinascimentale, con la ruota del Dharma raffigurata sul costume, una rosa in mano come quella che il Buddha donò al suo discepolo Mahakashap, mentre corre vicino ai precipizi con espressione gioiosa seguito da un cagnolino bianco festoso: perfetta raffigurazione dell’uomo in armonia con l’Universo.
Il Matto è l’Inconoscibile, l’En Soph dei Cabalisti, il Nagual di Castaneda, la Vacuità del buddismo: ciò che ci circonda e che non potremo mai conoscere, ma soltanto esserne testimoni attoniti. Quando la nostra Coscienza per un attimo si affaccia su questo baratro, sperimenta la suprema libertà, purché sappia non perdere se stessa in questa vastità. In essa l’unico punto di riferimento è la Coscienza stessa, poiché tutte le forze vi si equilibrano e nessuna prevale per dare origine alla Manifestazione. Quando il Matto deciderà di agire, dovrà “uscire da se stesso” per “e-sistere”, diventare cioè un nuovo Inizio, assumendo la forma del Mago. Allora aprirà il sacco che porta sulle spalle e che contiene i quattro elementi, per dare inizio ad una nuova Manifestazione.
Sarà bene ricordare che lo Zero non è il Nulla. Quest’ultimo, inteso nel senso di “Vuoto cosmico” è una contraddizione in termini: il vuoto è sempre temporaneo, in attesa di essere riempito. In realtà, zero è il punto in cui le forze si annullano: quando ad una forza pari a dieci opponiamo una forza pari anch’essa a dieci e direzionata in senso opposto, il risultato dà zero. Quello è il punto in cui le forze si compensano, come nell’occhio del ciclone. Il Matto rappresenta il punto centrale del rosone della cattedrale, in cui i raggi della ruota si annullano a vicenda; egli è Tutto e Nulla al tempo stesso. Riceve e dà tutto contemporaneamente, perché non appartiene a nessuno. Questo è il suo potere.
Quando il Matto compare in un gioco, ogni punto di riferimento è perduto. Ciò può costituire una grande opportunità per chi ne sia all’altezza, perché potrà dare inizio ad un nuovo corso nella vita. A volte brancolare nel buio precede una rapida evoluzione.
Il Tarocco e gli Shivasutra
Il ventiduesimo sutra recita “meditando sul grande lago entra in contatto con la forza dei mantra”.
“Il Grande Lago” è la suprema Coscienza, da cui promana come sua emanazione il mondo sensibile. Meditando sulla coscienza, si entra in contatto con la forza dei mantra, cioè i sacri suoni che agiscono sulla Sostanza dandole forma. Questi sono formati dalle cinquanta lettere dell’alfabeto sanscrito che costituiscono nell’insieme la matrice e in generale la Ruota delle Potenze. La Coscienza che ha riassorbito in sé il proprio riflesso incarnato, entra ora in contatto con la forza dei suoni creatori ed è pronta a emettere una nuova Manifestazione, a riassumere cioè le sembianze del Mago ad un più alto livello. Il ciclo emanazione – riassorbimento è incessante, come la sistole e la diastole, l’inspirazione e l’espirazione.
Rapportato al corrispondente arcano l’aforisma afferma che, dopo essersi riposata in se stessa come Mondo, la Coscienza ora entra in contatto con la forza del suono creatore del mantra: nuovamente potrà diventare coscienza creatrice, prendendo forma ed incarnandosi se tale sarà la sua libera Volontà. Come sappiamo, la tradizione vuole che la Coscienza possa incarnarsi ed esperimentare il mondo sensibile senza necessariamente perdersi in esso, senza cioè fare la scelta che abbiamo visto compiere all’Innamorato. La Coscienza può dunque assumere forma terrena, senza perdere il ricordo di sé, né uscire dal “Paradiso Terrestre”, dallo stato primordiale in cui l’esperienza del mondo sensibile non precludeva quella dei mondi soprasensibili, ma l’una conviveva a fianco dell’altra. Giunta al termine del suo viaggio nella Materia, la Coscienza potrà, se lo vorrà, assumere nuovamente forma tangibile come essere umano, senza con ciò estraniarsi da se stessa, ma conservando il proprio retaggio d’immortalità.
L’Assemblea delle 21 Tare
Al centro del mandala delle 21 tare si trova Tara Verde, fonte di tutti gli altri suoi aspetti. Ella è considerata “la madre di tutti i Buddha” passati, presenti e futuri, perché li ha nutriti e ne ha avuto cura come fa una madre per i figli. Allo stesso tempo ella ha incarnato tutte le loro perfette qualità. Il suo colore verde la ricollega all’elemento aria e indica la sua capacità di agire velocemente in soccorso di chi la invoca. Il suo mantra è “Om tare tuttare ture soha”.
Ella ha la gamba sinistra piegata e la destra piegata a metà. La gamba sinistra piegata significa la rinuncia alle emozioni conflittuali della psiche, la gamba destra piegata solo a metà significa che Ella è pronta ad alzarsi per apportare aiuto agli esseri senzienti. Il significato complessivo della posizione delle gambe indica che tara, benché sia totalmente libera dalle imperfezioni del Samsara, rimane nei mondi della sofferenza per aiutare gli esseri senzienti. L’immagine costituisce una rappresentazione dello stato in cui la Coscienza, benché incarnata, rimane pienamente consapevole di sé e capace di agire per il bene degli esseri ancora imprigionati nella materia.
La tara verde è la fonte di tutti gli altri suoi aspetti, e la madre di tutti i Buddha, così come il Matto è, nel suo significato più elevato, l’origine di ogni altro arcano. In esso, in quanto Supremo Inconoscibile, è ricompresa l’intera manifestazione dei mondi sensibili. Poiché trascende ogni possibilità di comprensione della mente umana, è inutile parlarne: le parole velano, anziché spiegare, la sua essenza.
Argomenti trattati nell’Opera
PRESENTAZIONE
Di Franco Cardini
Il prof. Cardini si sofferma sull’importante vicenda storica della migrazione dei simboli da Oriente ad Occidente.
INTRODUZIONE
Di Andrea Vitali
L’autore dell’introduzione, storico del Tarocco di fama internazionale, delinea in modo sintetico ma completo le nostre attuali conoscenze sull’origine delle famose carte da gioco e da divinazione.
PREMESSA
Partendo dai dati storici sintetizzati nell’introduzione da Andrea Vitali, l’Autore introduce nuove ipotesi sulle origini del Tarocco, evidenziandone da un lato la continuità iconografica rispetto al simbolismo delle cattedrali, dall’altro le analogie esistenti fra il loro significato tradizionale e due importanti apparati simbolici orientali: gli Shivasutra e le 21 Emanazioni di Tara.
Cap. I – la vitalizzazione dei simboli
Il capitolo si sofferma sul significato e sull’impiego dei simboli come strumento d’indagine e contemplazione interiore.
Cap. II – il Tarocco e le tradizioni orientali
Prima analisi in forma generale dell’ipotesi di derivazione del Tarocco dalle dottrine presenti nell’area himalayana prima del Mille d.C.: gli “Aforismi di Shiva” di Vasugupta, e il culto delle 21 emanazioni di Tara.
Cap. III – gli aspetti numerologici del Tarocco
Il capitolo esamina alcuni evidenti rapporti tra la struttura numerica del Tarocco e ciò che si conosce dell’antica “scienza dei numeri”.
Cap. IV – il Tarocco e l’ Yi King
Un breve ma fondamentale esame del metodo da applicare per uno studio comparato dei due più grandi sistemi divinatori d’Oriente e d’Occidente.
Cap. V – gli Arcani della Trasformazione
Studio analitico dei ventidue arcani maggiori, dei corrispondenti “aforismi di Shiva” e delle corrispondenti Emanazioni di Tara. Il capitolo cerca di mettere in luce le profonde relazioni esistenti fra i rispettivi apparati simbolici.
Cap. VI – gli Arcani minori: il sentiero dell’Evoluzione
Il capitolo illustra anzitutto le differenze di livello esistenti fra il simbolismo negli arcani maggiori e in quelli minori; quindi esamina il significato dei numeri e dei semi raffigurati nelle carte. Si sofferma infine sull’iconografia e il simbolismo dei singoli arcani minori, raggruppati nei tradizionali elementi di Fuoco, Terra, Aria, Acqua.
Cap.VII – Visione di Shamballa
A completamento dell’opera, si esamina brevemente il significato storico della divinazione, e si descrive un metodo di consultazione del Tarocco a tale scopo.
Cap. VIII – note sulla divinazione.
Cap. IX – epilogo
Cap. X – bibliografia minima
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