Velleda la veggente dei Germani

veleda2.jpgVoglio narrarvi la storia di Velleda la veggente dei Germani, una famosa sacerdotessa che ha speso tutta la sua esistenza nella lotta contro il colonialismo romano, nel tentativo di difendere la libertà e l’indipendenza del suo popolo, ricordata ancora oggi come l’Oracolo della Germania. Velleda condivide con gli oracoli dell’antichità l’assenza di una storia personale; non esistono notizie che la riguardino come persona; nessuno sa quando e dove sia nata, come abbia ricevuto il dono della profezia o come questo si sia manifestato ecc.

Persino il suo nome, molto probabilmente, è l’appellativo che designava il suo sacerdozio, esattamente come accadeva per le Pizie greche e le Sibille romane.

L’origine del nome Velleda

Il nome Velleda, infatti, ha come varianti Veleda, Velide o Welleda; ha origini celtiche, e sembra derivi dalla forma ogamica Velitas, in cui la lettera “t” venne poi sostituita con la “d” nella lingua germanica dei bructeri.

Velitas corrisponde al gallese e al bretone gweled, che significa “vedere”, “vista”; indicava il dono divino di saper “guardare lontano”, laddove solo l’anima sacra poteva posare i suoi occhi di luce.

Un altro possibile significato di “Velleda” ricondurrebbe l’origine della parola all’antico norreno vola o volva, da völr, che indicava il bastone usato per compiere i riti di vaticinio. Esso si può quindi tradurre letteralmente con “colei che porta il bastone”, che fra i norreni era la Volva, la veggente, “colei che vede”.

Velleda la veggente dei GermaniIl contesto storico

Tra il 100 a.C. e il 350 d.C., nella Germania nord-occidentale, tra il fiume Lippe e il fiume Ems, a sud della splendida e immensa foresta di Teutoburgo si era stabilita la tribù celtica dei bructeri.

Nel 69 d. C., quando si svolge la nostra storia, la tribrù era ormai perfettamente integrata con la popolazione locale; Velleda, quale che fosse l’origine del suo appellativo, era la sacerdotessa e la veggente di tutto il popolo germanico, coalizzato contro l’invasione romana.

L’occupazione romana

Tra il 14 e il 16 a.C. l’esercito romano aveva invaso la Germania sotto il comando di Germanico, occupando diverse zone soprattutto del nord e piegandole al proprio duro e spietato dominio. Con il trascorrere degli anni la situazione di alcuni popoli e i soprusi che questi erano costretti a subire stavano divenendo intollerabili; nel cuore dei germani cresceva forte il desiderio di ribellione. Questo divenne infine insopprimibile quando un editto dell’imperatore Vitellio ordinò chiamò i fanciulli batavi alla leva. L’imposizione era gravissima; poiché di fatto Vitellio reclamava i giovani batavi, famosi per il loro bell’aspetto, come schiavi sessuali dell’esercito.

Gaio Giulio Civile

Quando si presentò quindi l’occasione per sollevarsi, in una grande e gloriosa rivolta, tutto il popolo la colse immediatamente. Con gran fervore impugnò le armi sotto la guida del principe batavo Gaio Giulio Civile.
La violenta insurrezione, avvenne nel 69 e 70 d.C. nella provincia della Germania inferiore. Vi presero parte diversi altri popoli della Germania, fra i quali i bructeri; provocò gravissime perdite fra le legioni romane, alcune delle quali furono completamente distrutte.

Velleda la veggente dei Germani

Poco lontano dalla battaglia, eppur viva nel cuore di ogni combattente germano, vegliava Velleda, i cui occhi perforavano il buio come raggi di luna, e le cui labbra potevano schiudersi solo per dar voce alla verità.
Ella viveva nella stanza più alta di una torre immersa nella foresta vergine e rigogliosa, fra il verde del ricco sottobosco e splendide sorgenti gorgoglianti, che saltellavano fra i sassi levigati e spesso si velavano di pallide nebbie. Poco distante scorreva un fiume impetuoso, che serpeggiava fra le dolci sponde alberate e rifletteva nelle sue acque gli intensi colori del cielo.

La testimonianza di Tacito

Nei suoi scritti, Tacito riporta che la sacerdotessa era adorata fra i germani quasi fosse una divinità femminile, colma di saggezza e rivelatrice di arcane profezie. La sua influenza e il suo potere sul popolo erano immensi. Lei stessa aveva esortato la battaglia; poco dopo l’inizio della guerra Velleda predisse la vittoria della Germania e la distruzione delle legioni romane. In un primo momento i germani misero in estrema difficoltà gli invasori e rasero completamente al suolo ben quattro legioni.

Nel corso della rivolta si potrebbe pensare che se Gaio Giulio Civile rappresentava per i ribelli una guida sul campo con la forza delle armi e la strategia del combattimento, Velleda li guidava spiritualmente, in modo più intimo e silenzioso, incitandoli nel profondo e incoraggiandoli verso la riconquista della libertà. Così i guerrieri combattevano con il corpo e con l’anima, uniti verso un unico scopo.

Velleda mediatrice

Quando sorgevano conflitti interni fra le tribù, i loro capi si rivolgevano alla druidessa e a Civile per stipulare accordi che potessero mantenere la pace nel paese. Così, a proposito dell’ostilità fra il popolo dei tencteri e quello degli agrippinesi, questi ultimi si pronunciarono in tal modo:

Avremo come giudici Civile e Velleda, davanti ai quali ratificheremo i nostri patti”.

Velleda, la veggente inavvicinabile

In questa occasione i portavoce degli agrippinesi, recatisi dalla profetessa per chiederle consiglio, raccontarono che non furono ammessi alla sua presenza; nessuno, infatti, poteva avvicinarsi a lei, nessuno poteva vedere il suo viso, nessuno poteva ascoltare la sua voce. L’unico modo per parlarle era tramite il suo messaggero, che dopo averla consultata ne riferiva i responsi sibillini, “quasi intermediario del nume”. Così cresceva intorno a lei un’aura di mistero e solennità, forte e luminosa come una fiamma divina.

Le offerte votive

I Germani adoravano a tal punto la profetessa che dopo ogni vittoria, le mandavano ricchi doni, navi e bottini di guerra, e in un caso – ma forse furono più d’uno – un prigioniero romano, il legato di una legione distrutta Munio Luperco, il quale venne però ucciso durante il tragitto e non riuscì a raggiungerla.

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La guerra proseguì a favore dei ribelli per diversi mesi e l’intero dominio romano ne venne profondamente scosso, ma le sue sorti cambiarono quando giunse da Roma il generale Quinto Petilio Ceriale, che intervenne con nuove legioni per soffocare la sommossa.

D’altra parte i batavi stavano perdendo l’iniziale impeto che li aveva spinti a combattere per la libertà, e rendendosi conto delle gravi perdite subite non disprezzavano l’idea di una resa. Ceriale fece loro intendere che se si fossero arresi avrebbero ottenuto la pace e Giulio Civile sarebbe stato risparmiato, mentre “ammoniva Velleda e la sua famiglia a indirizzare diversamente le sorti di quella guerra (…) e a procacciarsi un tempestivo merito nei riguardi del popolo romano”. Con la speranza di avere salva la vita, il principe batavo accettò quindi i patti e pose fine alla guerra.

La firma della pace

Nel 70 d.C. la Germania firmò la pace con i romani, ottenendo, in cambio di eserciti alleati, il perdono e il privilegio di non pagare le tasse.

Tuttavia Velleda, dopo alcuni anni, forse nel 78 d.C., venne catturata e condotta a Roma in segno di trionfo.

Ciò che appare chiaro da queste notizie storiche, accuratamente trascritte da Tacito nelle sue cronache, è la devozione che i germani nutrivano per Velleda, e anche la sua grandezza, poiché non era solamente una veggente, ma anche un’autorità in campo politico e una divina ispiratrice di libertà e giustizia.

La venerazione per Velleda

Se questa venerazione poteva stupire i romani, per i quali la donna era soltanto una proprietà dell’uomo, padre o marito che fosse, il cui misero scopo vitale consisteva nell’essere una buona moglie e una prospera madre, fra i germani era invece più che normale, perché essi ritenevano ogni donna, soprattutto se vergine, una portatrice e donatrice di sacralità, una saggia conoscitrice del destino e una perfetta manifestazione del divino femminile, ovvero una piccola Dea vivente.

Le donne germaniche, scriveva Tacito, “osservavano i fiumi turbinosi, ascoltavano il mormorio o il mugghiare delle acque e, da ciò che vedevano e sentivano, traevano gli auspici”. La loro magia nasceva dalla profonda sintonia che percepivano con lo spirito della Grande Madre, la quale parlava alle loro anime donando le risposte che esse cercavano. Così Velleda sapeva intuire segreti messaggi ascoltando ciò che la terra le sussurrava dolcemente, e davanti al suo sguardo contemplativo gli eventi futuri si spiegavano come ali di gabbiano.

Cerridwen-cauldron.jpgLa leggenda di Velleda

Si racconta che ella avvolgesse il suo bel corpo in bianche e lunghe vesti, e che usasse intrecciarsi i capelli o coronarsi il capo con la verbena rosata. Tuttavia non vi sono certezze a riguardo, poiché è difficile che qualcuno l’abbia vista realmente tanto da poterla descrivere.

Nessuno ha mai saputo accertare il destino di Velleda in seguito alla sua cattura. È possibile che ella sia stata costretta a camminare per le vie di Roma da sconfitta, durante la marcia di trionfo al termine della guerra germanica, ovvero sia stata pubblicamente umiliata come era successo al principe britanno Vercingetorige. E si suppone che, successivamente, sia stata imprigionata, forse torturata e giustiziata, o che morì in prigionia. Ma di fatto non si hanno certezze sulle sorti che ella dovette subire.

La cattura e la morte di Velleda

In un componimento del poeta romano Stazio, che questi scrisse come elogio a Gaio Rutilio Gallico per aver riportato grandi vittorie nelle Gallie ed aver catturato viva la profetessa, si legge delle “maledizioni di Velleda prigioniera”, ovvero delle parole cariche di disprezzo che lei rivolse ai suoi nemici e carnefici. Questo potrebbe dimostrare che ella non si sottomise mai ai romani, ma li maledì ferocemente anche negli ultimi istanti della sua vita.

Per questo Velleda rimase sempre nella memoria del suo popolo; a distanza di secoli il popolo germanico la ricorda ancora come colei che governò, nel nome del divino, le più fiere nazioni. Ancora oggi, la riconoscono come l’Oracolo della Germania.

Fonte: Il tempio delle Ninfa; Wikipedia; Dogma e Rituale dell’alta magia di E. Lévi.
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